La recente pronuncia della Seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione n. 8821 del 4 marzo 2021, conferma l’orientamento della Giurisprudenza di Legittimità sul tema, secondo cui l’impossessamento del telefono, posto in essere da parte del marito e contro la volontà della moglie, integra una condotta antigiuridica, nell’ambito della quale l’ingiusto profitto consiste nell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, con la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione nella sfera sessuale, che non ammette intrusione da parte di terzi e neppure ad opera del coniuge.
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha altresì precisato che nel delitto di rapina il profitto può essere costituito da qualunque utilità, anche solo morale, nonché in qualunque soddisfazione ovvero godimento che l’autore si riprometta di ottenere dalla propria condotta, anche in via mediata, purché essa sia raggiunta attraverso l’impossessamento con violenza o con minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene.
La Seconda Sezione richiama, sul punto, la precedente sentenza n. 11467, dalla stessa pronunciata in data 10 marzo 2015, in cui è stato ritenuto integrato il dolo specifico del reato di rapina “nella ingiusta utilità morale perseguita dall’imputato, che aveva sottratto mediante violenza alla ex fidanzata il telefono cellulare, al fine di rivelare al padre della donna la relazione sentimentale che questa aveva instaurato con un altro uomo”.